mercoledì 8 luglio 2015

Husserl e l'innovazione fenomenologica

Filosoficamente, il Novecento inizia con la pubblicazione da parte di Edmund Husserl delle Ricerche logiche, un testo spartiacque destinato a determinare la nascita della fenomenologia. Il termine in realtà era già stato introdotto da Hegel, ma l'accezione husserliana è decisamente diversa, poiché ora la fenomenologia si assume il compito di porsi come filosofia prima avente per oggetto di analisi i fenomeni. A Husserl, per il quale sarà determinante l'incontro con Franz Brentano, va riconosciuto di aver infuso dinamismo a una ricerca che sembrava aver esaurito la propria spinta propulsiva con le teorizzazioni di Kant e Schopenhauer che avevano avuto, tra gli altri, l'incomparabile merito di essersi dedicati alla ricerca intorno al concetto di fenomeno inteso come ciò che si manifesta o appare.
Approfondendo la questione, il fenomeno però, secondo Husserl, non si riduce solamente a ciò che viene percepito attraverso i sensi, ma è anche ciò che si manifesta astrattamente nel ricordo oppure ciò che si configura come evidentemente vero ( ad esempio l'aritmetica ) o anche solamente come apparentemente vero ( ad esempio confondere un'immagine per un'altra ). Iniziare col piede giusto non è semplice, poiché occorre accettare di considerare l'individuo intendendolo in quanto coscienza che, nella concezione husserliana, instaura con un determinato dato un rapporto che è il frutto dell'interazione tra il dato stesso e quello che viene definito "modo di datità", ossia il modo in cui il dato "si concede" al soggetto. Tale interazione viene da Husserl definita "intenzionalità", e di conseguenza lo studio della fenomenologia si deve considerare a tutti gli effetti come lo studio di tutti i "fenomeni intenzionali", quelli cioè vissuti dalla "coscienza intenzionale".
Husserl è consapevole di dover fronteggiare il passato filosofico più o meno recente, e inizia la propria opera sfidando a duello lo "psicologismo logico", colpevole di ricondurre la logica alla psicologia, riducendola a mero fenomeno naturale. Egli non ha riserve nel ritenere assurda tale posizione, sostenendo che i fautori dello psicologismo, filosoficamente parlando, peccassero gravemente nel momento in cui si rifiutavano di tener in conto la sostanziale differenza tra l'atto psichico in cui il pensiero si concretizza e il contenuto cui l'atto si riferisce. È innegabile infatti che possano esistere migliaia di atti psichici senza che il contenuto cui essi si riferiscono subisca la benché minima variazione ( un'espressione matematica può essere svolta innumerevoli volte da soggetti diversi, ma il risultato corretto rimarrà sempre il medesimo ) e ciò avverrebbe, secondo Husserl, in virtù del fatto che gli atti psichici sussistono idealmente, indipendentemente dall'evento psichico sensibile che li rende manifesti ( ed è impossibile non scorgere la filosoficamente onnipresente ombra platonica in tale posizione ). Nello specifico, l'errore imperdonabile consiste nell'identificare il dato col già menzionato "modo di datità". Addentrarsi entro un simile ginepraio filosofico però, è tanto stimolante quanto pericoloso e se Husserl si limitasse ad affondare il coltello nel corpo dello psicologismo, rischierebbe una condanna non meno severa di quella che lui stesso gli voleva infliggere. Infatti, il mosaico fenomenologico può completarsi solamente trovando una soluzione alla questione relativa all'accesso del soggetto alla dimensione ideale e Husserl, gettando sul tavolo la carta della cosiddetta "visione eidetica", ossia quell'intuizione che si genera in noi dalla visione di oggetti considerati indipendentemente dalla loro natura strettamente formale ( ad esempio, osservando un gruppo di quattro persone, cogliamo il numero quattro benché questo fisicamente non sia presente ), riesce a incastrare magistralmente l'ultima tessera.
Entro i confini della fenomenologia dunque, il concetto di fenomeno non si riduce ad essere soltanto ciò che appare, ma anche il suo modo di manifestarsi, che di fatto non risulta immediatamente evidente né tantomeno soggettivo. In altri termini, sostiene Husserl, ciò che il soggetto ha davanti è anzitutto un qualcosa di indipendente e possiede determinate caratteristiche che non dipendono in alcun modo da colui che le percepisce, e in questo senso, il filosofo introduce il concetto di "senso oggettuale" per indicare quelle peculiarità assolutamente proprie dell'oggetto e assolutamente indipendenti dal soggetto. Fondamentalmente l'innovativo squarcio aperto dalla fenomenologia consiste nell'aver inteso il fenomeno come il frutto di un'indissolubile sintesi tra "dato" e "modo di datità", e in virtù di ciò ne consegue che il fenomeno possa essere colto solamente con "atteggiamento fenomenologico", considerando cioè l'indissolubile sintesi appena menzionata. Per fare ciò però, sarà necessario sospendere ( "epochè fenomenologica" ) il senso oggettuale per concentrarsi sulla correlazione tra "dato" e "modo di datità", riconoscendo di fatto alla coscienza un ruolo di preponderante.

Matteo Andriola