venerdì 29 agosto 2014

Nel vortice nichilista

Non scommetterei un centesimo su questa società, non lo farei nemmeno sotto tortura perchè sono certo che perderei. Di occasioni per la redenzione la Storia ne ha offerte parecchie, ma il percorso involutivo non si è fermato e la spinta individualista ha corroso con pazienza e metodo la struttura portante di una società che si è abbandonata alla deriva nichilista non concedendo neppure l'onore delle armi. Senza sconfinare nello storicismo, non possiamo negare di essere figli della Storia, e in particolar modo non possiamo negare di esserlo del Novecento ben oltre l'aspetto anagrafico, e a conti fatti, il centennio passato ci ha tolto molto più di quanto ci abbia dato. Non si può neppure dire che sia stato magnanimo lasciandoci in eredità quel sostrato individualista che di fatto è il primo responsabile del colpo mortale inferto all'etica.
Il secolo scorso ha avvolto nelle proprie spire tutto il percorso umano che l'ha preceduto, esacerbando l'inclinazione contraddittoriamente individualista dei membri del tessuto sociale, fungendo da detonatore per una situazione sociale irrimediabilmente esasperata e progressivamente crepata nelle fondamenta da incrinature insanabili. Superando l'impatto emotivo dei casi specifici, non ho remore nell'indicare proprio nell'uccisione dell'etica il crimine più grave commesso dal Novecento che, negando definitivamente l'inalienabilità del diritto alla vita, ha abbandonato l'individuo in balia del proprio becero ed effimero individualismo, privandolo conseguentemente di certezze etiche e valori stabili. Che l'avvento del capitalismo abbia delle responsabilità è innegabile, ma sarebbe riduttivo ritenerlo la causa unica di quella degenerazione che, affondando le proprie radici nell'individualismo, ha inaugurato la lunga e tuttora inconclusa stagione nichilista. Caposaldi e certezze etiche hanno perso consistenza come neve al sole e l'ideale contratto teorizzato da Rousseau e Locke è soltanto un ricordo lontano, tanto che quella stipula ha lasciato il posto ad una società fondata su una perenne lotta senza quartiere, in cui ogni mezzo è giustificato dal fine. Dal canto suo, il laicismo, pur responsabilizzando l'individuo, ne ha al contempo palesato l'impossibilità di vivere senza la fede e l'incapacità propugnare "motu proprio" una morale cui assoggettarsi. Negando l'inalienabilità del diritto alla vita e subordinandolo al fine individuale, la società ha estrinsecato una tendenza nichilista che ha poi visto, per inevitabile effetto domino, sgretolarsi ogni certezza. Il relativismo ha un'importanza filosofica più grande di quanto si possa credere, ma i suoi più accaniti teorizzatori falliscono nel voler relativizzare anche il diritto alla vita, che non potrà mai e poi mai essere valutato in relazione al contesto. Non posso e non voglio concedere attenuanti ad una società in cui la vita è diventata una merce, un oggetto di scambio il cui valore è oramai drammaticamente quantificabile numericamente. Violando l'inalienabilità del diritto alla vita, viene a cadere la costruzione etica che necessariamente su di essa deve poggiare e la conseguente disgregazione dei valori è la logica conseguenza di un vorticoso processo nichilista richiusosi su se stesso. Qualcuno potrebbe sostenere che non sia mai stato diverso e magari potrebbe chiamare in causa Platone, ancora lui, che in tempi non sospetti aveva anticipato tutti con il mito della caverna: a cosa reagisce infatti lo schiavo liberato, se non a un nichilismo ante litteram? La strada che porta a raggiungere e superare Nietzsche sarebbe troppo lunga da ripercorrere ora, ma ritengo doveroso sottolineare come il diritto alla vita abbia visto nel tempo mutare drasticamente la propria consistenza valoriale. Fintanto che esso veniva immolato in nome di un ideale, condivisibile o meno, lo si inseriva entro una dimensione eticamente aulica che per certi versi ne nobilitava il sacrificio. Molti sacrifici del passato venivano alimentati da un fine eticamente nobile almeno in teoria, e la vita diveniva spesso l'estremo mezzo con cui affermare valori altrimenti inaffermabili e irraggiungibili. Il tempo però ( e il Novecento in particolar modo ) ha vilipeso la dignità della vita azzerandone il valore attraverso sacrifici che non ritrovano il proprio motivo se non nella ricerca dell'utile individuale. L'eroica morte degli spartani alle Termopili e il suicidio di Catone a Utica sono purtroppo oramai aneddoti per sciorinare in pubblico la propria cultura, ma il loro significato è andato irrimediabilmente perduto.
Smentendo la tanto decantata evoluzione intellettuale, gli orrori del Novecento ( dai genocidi alle condanne capitali, dalle guerre di espansione alle persecuzioni razziali ) denunciano a gran voce la sconfitta dell'etica, precipitata oramai nel tritacarne nichilista. L'involuzione individualista ci presenta un individuo che non può risultare vittima, bensì più che mai colpevole in quanto artefice della società, e dunque direttamente responsabile della caduta nichilista. Per quanto mi sforzi, la sua colpevolezza mi impedisce di riporre nell'individuo la speranza di una radiosa rinascita di nietzscheana memoria, e il nichilismo, anziché un ostacolo da superare, ben presto verrà definitivamente accettato come un compagno di viaggio col quale convivere.

Matteo Andriola

1 commento:

  1. Gentile sig. Matteo,
    sulla drammaticità della condizione umana concordo, non pienamente sulla analisi.
    E' vero l'individualismo è il colpevole primo ma esso nasce dagli insegnamenti dell' -IO individualmente creato-, materialmente.
    E' questo che ha tolto ogni importanza al "corpo sociale-polis", all'organismo sociale che, materialmente, deve invece essere sopra ogni valore: ha tolto ogni valore ad una legge sociale che deve riflettere la altrettanto in-individuale Legge divina.
    La sua difesa del diritto alla vita, materiale e del singolo, riflette e sottende una concezione, mi consenta, al fondo individualistica . è l'individuo, materiale, che non si può toccare.
    So bene di dirle cose difficili da accettare : serve la "conversione-cambiamento di mentalità" cui invitava il Gesù che aveva abolito dal suo linguaggio, e da quello degli apostoli, il vocabolo "io" .
    Solo il NOI essi usavano e non per dire di alcun "noi-gruppo" (di credenti-razza-nazione o altro) in cui l'IO subdolamente resta, ma di un "noi" senza individualità.
    Serve quel Gesù "diverso" (2Cor) che Grandi Apostoli insegnavano e che Paolo, da cui la cristianità nasce, ha combattuto.
    Dalla caverna, che è la chiusura nell'IO ovvero la "caduta" ovvero il "peccato d'origine", ci si libera, stante la presenza dei pastori-incatenatori, grazie al nichilismo che mostrerà la assurdità di insegnamenti-catene che ad indicibili disastri, materiali dopo quelli spirituali già vissuti, porteranno.
    Non è l'individuo il colpevole ma quei "pastori stolti" (Zaccaria) che insegnano l' "io-creato" :Ebraismo, Cristianità ed Islam.
    @benadam49

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