sabato 23 agosto 2014

Il dialogo interreligioso è auspicabile da tutti, atei compresi

Se osservato da una diversa angolazione, un filosofo notoriamente ateo come Karl Marx può offrire un interessante punto di partenza per introdurre una disamina di tipo religioso. Riconosco che ciò possa apparire strano, ma se definendola "l'oppio dei popoli", Marx certamente tenta di infliggere un colpo mortale alla religione, al contempo ne afferma l'influenza, chinando la testa di fronte al suo enorme potere persuasivo che neppure lui, ateo, può riuscire a negare. Per quanto possibile, affronterò la questione senza ricorrere all'esempio specifico, cercando di non cedere alla tentazione di togliermi qualche sassolino dalla scarpa, in quanto ritengo il dialogo interreligioso una necessità anzitutto concettuale. 
Neppure ad un osservatore disattento può sfuggire quanto la religione condizioni la vita di una società umana sempre più multietnica e multiculturale, e sebbene le divinità greche ci sembrino lontanissime e le scomuniche medioevali anacronistiche, sarebbe ottuso credere che la religione abbia visto nei secoli ridimensionarsi il proprio ruolo. Nel tempo essa è mutata, spesso nella forma ma non nella sostanza, in funzione di un esercizio sempre più saldo delle proprie funzioni. Non mi interessa ora addentrarmi in una pur sempre stimolante argomentazione teologica, né tantomeno intendo chiarire in questa sede la mia posizione al riguardo; al momento mi preme soltanto intervenire riguardo all'opportunità del dialogo interreligioso in relazione al ruolo che la religione ricopre oggi all'interno della società. Che occupi un posto di prim'ordine del resto, neppure da posizioni agnostiche o atee lo si potrebbe negare, ed infatti ribadisco come Marx stesso sia in definitiva incapace di negarne l'enorme potere trainante.
Imbarcarsi in una riflessione di argomento religioso è però sempre questione delicata, e fondamentalmente credo che l'errore oggi più comune consista nell'osservare la religione assumendo sempre e comunque una posizione di partenza, che necessariamente finirà per influenzare la valutazione fin dai suoi primi passi. Essa è una realtà radicata nella società umana, a prescindere dal credo e dal "credere", e come tale dev'essere valutata. In altri termini, ci si potrà interrogare circa la natura o l'esistenza stessa della divinità, ma non circa l'effettiva presenza della religione all'interno della società. Come pretesto o come causa, il confronto religioso da sempre origina laceranti contrasti, qualunque sia la posizione che ognuno decida di assumere. Apparentemente, l'affollamento di chiese, moschee, templi e sinagoghe parrebbe riconoscere alla religione un saldissimo valore aggregante, ma rovesciando la medaglia non si può fare a meno di notare quanto essa ne possieda al contempo uno disgregante e laddove origina aggregazione, troppo spesso getta il seme per disgregare, generando divisione profonda appena al di fuori dei luoghi di culto. La millenaria storia delle religioni le ha sovente incanalate su binari rigorosamente conservatori, escludendole da una modernità che forse per certi aspetti non potrebbero neppure possedere, ma in un'epoca in cui il concetto di nichilismo è ritornato terribilmente attuale, ciò non dovrebbe precludere la possibilità di un costruttivo dialogo interreligioso, che dovrebbe essere auspicabile da tutti, atei e agnostici compresi. La religione, con atto di maturità, dovrebbe non soltanto raccogliere gli onori, ma anche accollarsi gli oneri che qualunque potere necessariamente deve sobbarcarsi, agendo in funzione aggregante, responsabilmente consapevole della propria capacità di spostare gli equilibri, guidando una società umana che non perde occasione per dimostrare di non essere autonoma.
Se si crede per convinzione, indubbiamente si crede anche per necessità e, senza entrare nel merito della fondatezza del credo o più in generale del "credere", non è un mistero che la religione abbia assolto nei secoli e assolva tuttora un ruolo consolatorio, offrendo ai moltissimi fedeli una ragione di vita che certo potremmo valutare in molti aspetti ma non potremmo mai arrivare a negare. A prescindere dalla loro fondatezza, le religioni svolgono anche il sempre allietante incarico di deresponsabilizzare l'individuo, rendendogli sopportabili i dolori terreni. Amo morbosamente Dostoevskij e quando Ivan Karamazov afferma "se Dio non esiste, tutto è permesso" non posso che inchinarmi di fronte all'enormità del narratore russo, che con una frase secca e concisa riesce a sintetizzare, come meglio non si potrebbe, l'essenza ultima della fede religiosa. Che esista o meno la divinità, l'uomo non è pronto per sopravvivere rinunciando ad essa e alla sua forza consolatrice, e proprio per tale motivo il dialogo interreligioso rappresenterebbe in questo momento storico uno strumento di straordinaria modernità in una società in cui il progresso scientifico è inversamente proporzionale a quello etico.
Oggi come ieri, la religione è un potere politico non meno che spirituale e come tale, modernizzandosi, dovrebbe agire. Trovo contraddittorio combattere sotto il vessillo di un dio, giustificando posizioni e gesti in nome della fede, eppure, assieme al denaro, la religione è causa, concausa o pretesto della stragrande maggioranza dei conflitti della storia. Ancora oggi, tra le religioni vi è un abisso molto più profondo di quanto si voglia ammettere e l'apertura al dialogo, nella maggior parte dei casi, si configura come mera disponibilità di convenienza, che però ai miei occhi altro non fa se non scavare tra di esse un solco sempre più profondo. Anziché ridurre la fede alla pura militanza, le religioni dovrebbero agire consapevoli del proprio potere trainante, ricercando e promuovendo un dialogo che non sia diretto ad affermare il proprio primato sulle altre, ma che sia propedeutico al raggiungimento di una cooperazione che prescinda dalle diversità. Le alte sfere religiose, nessuna esclusa, ben consapevoli della forza persuasiva esercitata dal proprio credo, non dovrebbero ricorrere alla predicazione per convertire e affermare la propria superiorità, bensì per unire in un costruttivo confronto. Per il nobile fine che si pone del resto, persino dal punto di vista dell'ateo un dialogo religioso è sempre auspicabile. Ovunque, il potere spirituale ha un'innegabile influenza temporale e la comunicazione interreligiosa diverrebbe un vero e proprio strumento unificante in una società che, mai come oggi, avrebbe bisogno di un saldo bastone su cui poggiarsi.
In questo senso, fede, ateismo e agnosticismo si collocano sullo stesso piano nel valutare l'opportunità di un dialogo che non snaturerebbe affatto le religioni in questione, ma anzi, paradossalmente, ne affermerebbe il valore anche agli occhi di chi non è un fedele. In tale prospettiva, la questione relativa all'esistenza della divinità diverrebbe superflua perchè, che essa esista o meno, la religione rimarrebbe comunque un' innegabile realtà.

Matteo Andriola

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