lunedì 6 ottobre 2014

Thomas Hobbes e la teoria dello Stato

Verità e leggenda spesso riescono a fondersi armoniosamente, ma pare tutto sommato verosimile che la madre di Thomas Hobbes, il 5 aprile del 1588, abbia dichiarato di essere in preda alle doglie a causa del timore che l'Inghilterra venisse invasa dagli spagnoli. L'Invincibile Armata, di invincibile aveva molto poco, e Filippo II dovette chinare il capo di fronte alla superiorità inglese, ma tanto bastò per far maturare nel giovane Thomas la convinzione di essere "figlio della paura". La vicenda è curiosa, sicuramente affascinante, ma l'episodio inserisce il nascituro entro una dimensione per certi versi romanzesca.
Pochi filosofi, a mio giudizio, hanno rivoluzionato la Filosofia quanto Thomas Hobbes, e le sue teorie politiche non possono essere ridimensionate neppure a distanza di secoli. Non posso negarlo, quella del "contratto sociale" è una teoria così illuminante che mai cesserà di affascinarmi, e la teorizzazione consegnataci da Hobbes è talmente straordinaria da risultare attuale sempre e comunque. Egli si interroga sulla legittimità dello Stato, e la teoria contrattualistica secondo cui gli uomini avrebbero creato artificialmente una società stipulando un ideale contratto, diviene per lui lo strumento deputato alla giustificazione di tale legittimità. Con il patto, ci dice Hobbes, gli individui si sono accordati per trasferire i propri diritti naturali a una persona "civile", la cui volontà unica ha soppiantato quella comune e quella singola di ciascuno. Importa poco che l'accordo non abbia fondamento storico, la questione si gioca nel campo della teoria, e proprio per questo è più attendibile e rilevante. Se crediamo alla teoria contrattualistica, siamo costretti a convenire con Hobbes nel ritenere che il principio fondativo di uno Stato affondi le proprie radici nel consenso degli uomini, anziché nella volontà divina. Non credo esageri nel paragonare la forza di uno Stato a quella di un essere mostruoso, e col Leviatano Hobbes, perfettamente consapevole di procedere entro un terreno minato, ci offre uno dei più straordinari testi politici che siano mai stati scritti. Il potere può essere detenuto da un singolo ( monarchia ) o da un'assemblea ( democrazia ), ma in entrambi i casi si tratterà di un potere artificiale e le singole volontà che allo stato di natura risultavano indipendenti, sono destinate a fondersi in quella della "persona sovrano-rappresentativa", ossia la "persona artificiale" che diviene l'effettiva detentrice della sovranità. Essa, sovrana e al contempo rappresentativa, risulta indispensabile per l'esistenza stessa dello Stato, che in sua assenza si ridurrebbe a un disordinato coacervo di individui privi di una qualunque volontà politica. La nuova volontà pubblica dunque, si emancipa da quella del singolo e la volontà dello Stato trova concretezza unicamente nel suo rappresentante, appunto la "persona artificiale". La chiave della teoria hobbesiana sta proprio qui, ossia nell'affermare che la rappresentanza non consista nella mera rappresentazione della volontà dei molti, quanto piuttosto nella creazione di una nuova volontà del tutto indipendente. Alla luce di ciò, che la "persona artificiale" sia un monarca o un'assemblea, poco cambia, ciò che conta è che i poteri siano assolutamente unificati in una sovranità "assoluta", "indivisibile" e "irresistibile". Nel dettaglio, dovendo rispondere esclusivamente alle leggi naturali, il sovrano risulterà "assoluto" in quanto obbligatoriamente "sciolto" da qualunque legge civile sulla quale si erge, "indivisibile" in quanto detentore unico di tutti i poteri, "irresistibile" in quanto gli individui, nel riconoscergli legittimità attraverso il patto, di fatto negano la contraddittoria possibilità di resistergli. Nella concezione hobbesiana dello stato non può non trovare posto la Chiesa, che però non risulta un'entità indipendente, ma al contrario concorre alla realizzazione di uno Stato al contempo civile ed ecclesiastico, guidato dal medesimo detentore della sovranità. Hobbes infatti, nega con veemenza l'opportunità della separazione tra potere temporale e potere spirituale, in quanto tale divisione porterebbe i due poteri tentare continuamente di prevaricarsi, obbligando così i cittadini a dover obbedire a due sovrani. 
Forse è ardito ritenere che Hobbes abbia fondato la moderna teoria politica, ma non mi stancherò mai di ripetere che, senza il suo contributo, teorie illuminanti come quelle di John Rawls e Robert Nozick non avrebbero trovato un terreno tanto fertile su cui germogliare e fiorire rigogliosamente.

Matteo Andriola 

1 commento:

  1. Grazie per queste pillole di cultura. Approfondirò la mia conoscenza del Leviatano perché mi interessa

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