martedì 23 settembre 2014

Introduzione al problema della conoscenza

Da tempo mi interesso al problema della conoscenza e non posso negare di essere da sempre affascinato dalla ricerca militante in questo campo che mai e poi mai potrà risultare anacronistico, un terreno che in molti hanno provato a coltivare, e che dal tempo di Platone sino a quello di Hegel si è sempre mantenuto più che mai fertile. Ogni giorno utilizzo i miei sensi migliaia di volte, ma non mi illudo che ciò mi permetta di conoscere nel senso proprio del termine ed anzi, più li utilizzo e più mi convinco di quanto essi siano clamorosamente limitati. In molti hanno già dedicato pagine e pagine alla questione, e sono consapevole di aggiungermi ad una schiera piuttosto nutrita, ma le mie riflessioni mi hanno condotto entro un labirinto dal quale è assai difficile uscire, nel quale è particolarmente affascinante muoversi, pur dovendolo a volte obbligatoriamente fare con passo cautamente incerto. Smentendo San Tommaso, sembra accettabile riconoscere evidenti limiti alla conoscenza sensoriale, in quanto i cinque sensi permettono di conoscere in maniera "specifica" ( quella cosa, quell'oggetto, quell'individuo ) e, più o meno approfondita che sia, la conoscenza "particolare" non risulta essere in grado di fornirci un valido supporto per giungere a quella "universale".
Ma cosa si intende con questi due termini? Procediamo con ordine. La realtà, quella percepibile attraverso i sensi, presenta una miriade di casi particolari, ossia una moltitudine di manifestazioni parziali ( appunto "particolari" ) di insiemi che li racchiudono e che è opportuno definire "concetti". Il caso "particolare", dunque, altro non è se non una manifestazione di un concetto ma, si badi bene, soltanto "una" tra le molte possibili, e non certamente "la" manifestazione dell'insieme che lo include. Ogni concetto, dunque, si estrinseca in casi particolari, i quali si configurano come manifestazioni di esso, ad esso riconducibili, ma considerabili soltanto quali parziali testimonianze e non quali categorie o appunto concetti. A tal proposito, si consideri il seguente esempio: la "categoria" ( o "concetto" ) di "cane", di fatto, è un insieme che contiene molti sottoinsiemi rappresentati dalle differenti razze canine, i quali, a loro volta, contengono moltissimi elementi corrispondenti ai singoli cani esistenti. Ora, è chiaro ed evidente che la realtà sensibile, quella percepibile attraverso i sensi, è rappresentata dagli elementi ( i singoli esemplari ), in quanto gli unici ad essere raggiungibili dai sensi, gli unici che ad essi soggiaciono. Al concetto, alla categoria madre, non è possibile aver accesso attraverso i sensi, in quanto quello di "cane" è a tutti gli effetti un concetto cui possiamo facilmente ricondurre i vari sottoinsiemi e i moltissimi elementi, ma al quale non possiamo certo giungere attraverso la percezione sensibile, alla quale, semmai, soggiace appunto "un" cane o, se si preferisce, soggiaciono tutti i cani, intesi però come singoli esemplari ( o se si preferisce, come elementi di un insieme ). La conoscenza "particolare" ( che si rivolge sempre agli elementi e mai agli insiemi ), come lo è necessariamente quella sensibile, è inequivocabilmente parziale, in quanto ci può portare a conoscere molto, forse tutto di un determinato elemento, di quel preciso elemento, ma ci dice poco o nulla del concetto "universale", a cui non si potrà mai giungere attraverso la via sensibile, la quale, al più, in seguito all'acquisizione di molti casi particolari, ci potrà fornire degli strumenti utili per categorizzare induttivamente, ma non ci condurrà mai al concetto o categoria. In altri termini, la conoscenza di molti casi particolari ci potrà fornire, attraverso il ragionamento induttivo, la capacità di racchiudere un caso particolare entro un insieme, di inserire poi un insieme entro un altro insieme ( rendendolo di fatto un sottoinsieme ), ma non ci consentirà l'accesso al concetto, alla "conoscenza universale" o, se si preferisce, alla conoscenza "dell'universale", che ai sensi è destinata a rimanere inaccessibile, e non potrà mai ad essi soggiacere. Non solo: in alcuni casi, la conoscenza sensibile, oltre che limitata può risultare addirittura fuorviante, in quanto una conoscenza anche approfondita di numerosi casi particolari rischia di condurre il soggetto percepente, sempre attraverso il ragionamento induttivo, a categorizzare erroneamente, non tenendo conto delle eventuali eccezioni che, se presenti, sono destinate a invalidare la categorizzazione, rendendola falsa a tutti gli effetti. Come sostenuto da Bertrand Russell infatti, ai fini di una conoscenza universale, il ragionamento induttivo non può che risultare fallibile, in quanto un tacchino, dopo aver osservato un numero elevatissimo di casi particolari sempre uguali, potrebbe ben concludere che l'ora del suo pasto sia sempre la medesima, ma la vigilia di Natale, purtroppo per lui, si vedrebbe smentito e pronto per essere servito in tavola. Allo stesso modo, per quanto ci si possa sforzare di giungere a un qualunque concetto attraverso i sensi ( e l'unico modo apparentemente plausibile sarebbe proprio il ragionamento induttivo ), l'impresa non potrà che naufragare miseramente. La strada per giungere al concetto, ammesso che sia raggiungibile, è impervia e piuttosto tortuosa.

Matteo Andriola

1 commento:

  1. Anche Agostino diceva che "tardus est sensus" e che questa lentezza "est modus eius"; ma -aggiungeva- che "sufficit ad quod factus est". Bisogna, dunque, richiedere ai sensi quello per cui sono preposti. I sensi, infatti, nonostante a volte errino, ci servono piuttosto bene nella vita di tutti i giorni (e, talvolta, anche in contingenze meno quotidiane). Insomma, un poco di sano scetticismo, nei confronti della conoscenza sensibile, non può che fare bene; tuttavia non disprezziamoli, questi sensi...

    Grazie delle riflessioni.

    FdA

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