venerdì 19 settembre 2014

Heidegger è sempre Heidegger

Non c'è niente da fare, di fronte a Martin Heidegger è sempre doveroso togliersi il cappello in segno di riverenza. Non esiste filosofo che sia stato capace di risultare al tempo stesso così moderno e così conservatore, in grado di sviluppare un pensiero così innovativo pur rimanendo saldamente ancorato alla tradizione. In qualunque epoca fosse vissuto, avrebbe comunque fatto il filosofo e questa sua naturale inclinazione alla teorizzazione, rende piuttosto difficoltoso introdurre un pensiero che certo risulta ostico in molti suoi aspetti. Sinceramente, non consiglierei Essere e tempo come testo da leggere per avvicinarsi alla Filosofia e onestamente non credo siano in molti ad essere in grado di comprenderlo appieno, tuttavia, contrariamente a quanto si possa pensare, ciò non ne sminuisce il valore, ma al contrario ne nobilita la qualità, facendone un testo filosoficamente del tutto elitario. Che esso rappresenti uno snodo decisivo nel lungo percorso filosofico però, è cosa innegabile. 
Riesumando meritevolmente il pionieristico pensiero di Parmenide, Heidegger punta l'indice contro la Filosofia moderna, colpevole di aver accantonato in maniera del tutto ingiustificabile la ricerca sull'essere. Se però il capolavoro heideggeriano Essere e tempo inizia constatando la lontananza da tale ricerca, clamorosamente rifiuta di gettarsi a capofitto, come invece sarebbe legittimo attendersi, in una trattazione sull'essere in quanto tale, ma piuttosto si concentra sull'ente che con l'essere ha un rapporto privilegiato, ossia ciò Heidegger chiama "esserci" ( "Dasein" ) e noi tutti chiamiamo "uomo". Mi rendo conto che tale definizione possa risultare ostica, ma Heidegger vi ricorre a ragion veduta, utilizzandola per indicare la presenza dell'essere qui e ora, un'essere che appunto "c'è" e si realizza appieno soltanto nell'uomo che, contrariamente a tutti gli altri enti ( statici e immutabili ), si trova a poter scegliere tra un ventaglio di possibilità d'essere. Heidegger deve molto a Husserl, ma ha la forza e il coraggio di metterne parzialmente in discussione il pensiero, non condividendone la teoria secondo cui la percezione possa spiegarsi soltanto in relazione al soggetto percepente e che il manifestarsi non possa non dipendere dalla coscienza. In altri termini, laddove Husserl sosteneva che apparire significasse essere presente "fisicamente" dinanzi al soggetto percepente, Heidegger non lega indissolubilmente la presenza alla percezione diretta, ma sostiene che tutti gli enti siano effettivamente "presenti" per lo più in virtù della loro "utilizzabilità". Ogni ente dunque, vi è anche senza essere percepito, ma fintanto che non viene utilizzato, non può dirsi "presente", semmai soltanto "percepito". Heidegger non intende negare la teoria fenomenologica, ma con un ragionamento apparentemente contraddittorio sostiene che il fenomeno non sia soltanto ciò che si manifesta, ma che per certi versi sia anche e soprattutto ciò che non si manifesta. Ricorrere all'esempio è sempre utile: ipotizziamo di impugnare una matita e di iniziare a disegnare; il nostro rapporto con essa si ridurrebbe alla sua utilizzabilità, e non alla mera percezione, non alla sua "semplice presenza". La matita dunque, si manifesterebbe, sottraendosi alla pura percezione diretta, in quanto noi ci rapporteremmo ad essa utilizzandola per quella che è la sua reale funzione; in altri termini, ci rapporteremmo con un mezzo anziché con un oggetto, con un ente che in quel momento non ci giunge in quanto matita, bensì in quanto strumento. Heidegger definisce il rapporto con gli oggetti un "prendersi cura" di essi, legando il loro manifestarsi all'utilizzabilità. Quella che Heidegger definisce "semplice presenza" è la mera manifestazione dell'oggetto inteso come tale, ma non è la modalità primaria a disposizione dell'uomo per rapportarsi agli enti della conoscenza, che possono essere conosciuti appieno soltanto in virtù della loro utilizzabilità, appunto "prendendosene cura". Alla luce di quanto detto, tutti gli enti si inseriscono entro un disegno in cui ogni ente rimanda allo scopo per cui è utilizzabile; è il cosiddetto "sistema dei rimandi". L'intero sistema dei rimandi è il "mondo" e l'essere proprio dell'uomo, è un "essere nel mondo", ossia l'instaurazione di un insieme di rapporti fondato sull'utilizzabilità di tutti gli enti. Secondo Heidegger dunque, l'esistenza non si riduce alla conoscenza degli oggetti, ma legandosi indissolubilmente alla loro utilizzabilità, si concretizza in un vastissimo ventaglio di possibilità di utilizzo o, se preferiamo, di possibilità di azione. In altri termini, l'uomo esiste perchè agisce "attivamente", non perché percepisce "passivamente".
Potrei proseguire, il pensiero di Heidegger è molto vasto, ma per il momento credo sia giusto prendere atto della grandezza di un filosofo, la cui modernità riesce ancora a stupirmi.

Matteo Andriola

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