lunedì 8 febbraio 2016

Cosa resta del contemporaneo?

Epoche come quella che stiamo attraversando possiedono il non trascurabile vantaggio di prestarsi sempre e comunque ad analisi critiche, anche e soprattutto in virtù della tanto evidente quanto preoccupante latitanza di quella che molti chiamano etica, dispersa nella melma nichilista che Leopardi e Nietzsche, in tempi più o meno sospetti, avevano ampiamente previsto con lucida lungimiranza. Immolando la morale sull'altare dell'egoismo, si è colpevolmente accettato un collettivo tuffo nel precipizio del non ritorno, anteponendo sempre e comunque l'interesse del singolo a quello della società. Che la si osservi con l'occhio dell'ateo o meno, la società appare comunque senza un dio, assente più o meno giustificato, a seconda del punto dal quale ci si sforzi inutilmente di intravederlo. I conflitti religiosi tra monoteismi esagitati e belligeranti non sono nuovi nella loro essenza pretestuosa, e l'inconsistenza politica di potenze ( o presunte tali ) conniventi fondate sull'ipocrisia è quanto mai allarmante poiché conficca con decisione i chiodi nella bara di una speranza già da tempo morta e sepolta; alla faccia di Kant e della sua pace perpetua. L'individuo però non ha attenuanti, e certo non è meno colpevole accettando ovunque una spersonalizzazione metodica e costante capace di annichilire l'essenza stessa di ciò che ogni singolo e ogni società dovrebbero essere; gli ideali ( cosa poi saranno mai questi ideali? ), i cari vecchi ideali ai quali in periodi di crisi tutti si sentono in dovere di appellarsi, non vengono in ultima istanza mai neppure sfiorati. Sono scomparsi, spariti, decapitati dalla roncola di una contemporaneità che vende un "nulla" spacciandolo per un "tutto", che mercifica qualunque cosa, che toglie la speranza sostenendo ipocritamente di distribuirla. Ciò che per le bocche dei benpensanti prezzolati dovrebbe nobilitare l'uomo, in realtà è divenuto ciò che lo priva dell'unica cosa effettivamente in grado di nobilitarlo, ossia la libertà.
George Orwell fu profetico ipotizzando ( in questo caso in tempi evidentemente sospetti ) una società controllata dall'occhio del padrone, e mai come oggi 1984 dovrebbe diventare un testo obbligatorio per tutti, da leggere, rileggere e conservare gelosamente. La contemporaneità, questa ignobile contemporaneità fondata sul compromesso, ha avuto partita facile a insinuarsi subdolamente e proliferare in una società che si è imperdonabilmente negata sia la cultura sia quella bellezza che secondo il principe Myskin avrebbe presto o tardi salvato il mondo. Rileggendo L'idiota sono più che mai convinto che il protagonista del romanzo, evidentemente pervaso da immotivato ottimismo, abbia commesso un errore macroscopico ricorrendo al futuro anziché al condizionale; la bellezza semmai "salverebbe" il mondo, a condizione che questo si lasciasse però salvare. È fin troppo evidente però che il mondo, popolato da perversi demagoghi abilissimi a rovesciare la gerarchia delle priorità in nome di personali interessi, abbia scelto una lenta e dolorosa agonia, preferendola a una salvezza che forse sarebbe troppo responsabilizzante e faticosa da supportare. In tema di diritti assistiamo a sconcertanti scenari in cui la menzogna è divenuto lo strumento più utilizzato, e in cui il "politicamente corretto" assurge a nauseante e ipocrita consuetudine: all'occorrenza, tutti uniti e solidali in corteo, ma immediatamente pronti a divorarsi l'un l'altro il giorno successivo. Non esiste accettazione dell'altro, ma spesso neppure volontà di ottenere accettazione, non esiste realtà che non contempli la violenza come strumento risolutivo, non esiste società che non si fondi contemporaneamente sull'incoerenza e la contraddizione. Non potendo certamente scommettere su un presente indiscutibilmente e inesorabilmente nichilista, la fiducia nel futuro appare l'unica possibilità, anche se purtroppo ritengo sia obiettivamente mal riposta. Scegliere di sguazzare passivamente e arrendevolmente in questa contemporaneità è colpevole e intellettualmente abietto, ma al contempo è certamente la scelta maggiormente inflazionata, una scelta direttamente responsabile di un declino oramai inevitabile. Nessuno farà nulla per cambiare questa società, i gesti eroici sono materia di un'epica cronologicamente e concettualmente troppo lontana. Ci limiteremo, consapevolmente inconsapevoli, a osservare senza muovere un dito perchè, come sintetizzato dal sempre illuminante Guido Ceronetti: "Siamo come quelli delle Termopili. Sappiamo che i persiani passeranno ma noi restiamo lì".

Matteo Andriola

Nessun commento:

Posta un commento