venerdì 16 ottobre 2015

Fichte e i tre principi

Pur non risultando affatto semplice stabilire se sia Fichte ad essere in debito con Kant o viceversa, si è costretti a riconoscere che Johann Gottlieb Fichte, straordinario esponente dell'idealismo tedesco, si sia audacemente assunto una responsabilità notevole decidendo di risolvere l'annosa questione filosofica del "noumeno" nella maniera più netta e drastica possibile, ovvero eliminando quella "cosa in sé" che gli appariva una scoria dogmatica pervasa di intollerabile indimostrabilità. In realtà, la sua scelta, ponderata e motivata, prende le mosse da un problema effettivamente reale, ossia dall'impossibilità di poter dimostrare l'esistenza prescindendo dalla coscienza. Fichte intravede nella coscienza un innegabile potenziale attivo, e ritiene che all'interno di essa si giochi la partita relativa all'esistenza della realtà; in altri termini, partendo dall'assunto che la realtà esista in quanto produzione della coscienza, quest'ultima, producendo attivamente la propria rappresentazione della realtà, si trova secondo Fichte ad agire attivamente su di essa, anziché subirla. Definendo la coscienza attiva con il termine "io", egli afferma che l'esistenza stessa della coscienza sia il presupposto indubitabile dal quale è assolutamente impossibile prescindere, e partendo da tale tesi stabilisce i principi logici su cui, a suo giudizio, si fonderebbe il sapere. Il primo caposaldo della logica fichtiana, espresso dal postulato "l'io pone se stesso", asserisce che se la coscienza non si affermasse, ponendosi cioè autonomamente come attività rappresentativa, sarebbe di fatto impossibilitata a rappresentare; non sarebbe infatti pensabile che una coscienza potesse rappresentare senza aver anticipatamente preso coscienza di sè. Ma c'è di più. Il secondo principio, espresso dal postulato "l'io pone un non-io", merita grande attenzione, poiché ciò che Fichte definisce "non-io" sta a indicare una qualunque realtà esterna all'io, ossia dunque esterna alla coscienza; porre un "non-io" è secondo il filosofo una conditio necessaria affinché l' "io" possa affermare anzitutto se stesso, ma se ciò è indiscutibilmente vero, ne consegue obbligatoriamente che le due attività debbano essere non soltanto inconsce ma anche e soprattutto unitamente contemporanee, poiché soltanto avendo al contempo coscienza di un qualcosa d'altro, l' "io" può da esso distinguersi affermandosi come autonoma entità. L'unità dei due momenti è del resto saldamente ancorata a fondamenta logiche in quanto, se vi fosse un rapporto di subordine, l' "io" sarebbe impossibilitato a porsi poiché, mancando un'alterità, verrebbe meno la sua possibilità di distinguersi e autoaffermarsi rispetto a tutto ciò che è appunto altro da lui; la concomitanza dei due momenti dunque, esclude ogni ipotesi di subalternità, riducendoli senza possibilità di smentita ad un unico e inscindibile momento dialettico. Presupponendo unità, i due momenti richiedono una logica conciliazione, che secondo Fichte scaturisce da un rapporto dialettico fondato sulla limitazione ( o negazione che dir si voglia ) reciproca. Per ricorrere all'esempio concreto, un "non-io" limita un "io" non in quanto suo opposto ( e ciò del resto sarebbe impossibile ), ma in virtù del suo essere altro; un albero non è la limitazione totale di un "io", ma soltanto una limitazione parziale, poiché "non è" l' "io" pur tuttavia non essendo neppure il suo opposto. Ed infatti, tale limitazione è possibile soltanto se ciò che ad essa è soggetto risulta divisibile in parti. Proprio tale divisibilità ( che di fatto corrisponde alla possibilità di essere frazionabile ) rende possibile l'opposizione tra "io" e "non-io", evitando un reciproco annullamento; se per assurdo infatti l' "io" opponesse a se stesso tutto il "non-io" creerebbe una dialettica fra opposti con conseguente annullamento delle due parti. Non esistendo nella realtà soggetto e oggetto assoluti, la limitazione può avvenire soltanto fra parti; inoltre, l'opposizione fra "io" e "non-io" non può che avvenire entro la coscienza finita poiché nella realtà ogni rappresentazione appartiene a un soggetto concreto e non certo assoluto. Molteplici realtà limitano ogni coscienza ( o se si preferisce, molteplici "non-io" limitano ogni "io" ) in quanto le si oppongono come qualcosa d'altro che, sebbene non sia, come detto, a lei opposto, le si contrappone parzialmente proprio in virtù del suo essere parte di un'entità divisibile ( appunto il "non-io" ). Ciò spiega il terzo principio della logica fichtiana, espresso dal postulato "L'io oppone nell'io a un io divisibile un non-io divisibile".

Matteo Andriola

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