lunedì 4 maggio 2015

Teoria e prassi nel pensiero di Jürgen Habermas

Tra i filosofi viventi, una particolare attenzione la merita senza alcun dubbio Jürgen Habermas, pensatore in grado come pochissimi di analizzare criticamente la realtà, osservandola quanto mai lucidamente in una maniera che quasi ossimoricamente amo definire come conservativamente lungimirante. Mi sono avvicinato alla sua filosofia con la giusta dose di scetticismo, ma ho conosciuto un pensatore clamorosamente all'avanguardia, degno collante tra le teorie filosofico-politiche passate e la freneticamente instabile modernità. Affrontando il pensiero di Habermas, si è inevitabilmente costretti a confrontarsi ripetutamente con le teorie di Marx ( dal cui determinismo tuttavia, a mio parere a ragione, prende le distanze ) cui innegabilmente deve moltissimo, e a parer mio non è neppure possibile negare l'influenza esercitata dal pensiero di Kant sul suo modus cogitandi, ma è sorprendente riscontrare come, pur rimanendo saldamente ancorato a concezioni filosofiche a lui precedenti ( su tutte quelle di Marx e Weber ) egli riesca a modellare un pensiero in grado di adattarsi quasi sartorialmente a una società in continuo mutamento. Non va dimenticato che Weber fu anzitutto un sociologo, peraltro di gran lunga superiore a quanto si sia disposti a riconoscere, e le sue teorie si fondavano sulla metodica osservazione di una società che vedeva la borghesia recitare indiscutibilmente il ruolo del protagonista dell'epocale cambiamento socio-economico che allora si stava verificando. A mio giudizio, Habermas è spesso troppo accademico, ma il suo contributo appare subito fondamentale in quanto la sua vanga filosofica si preoccupa di smuovere un terreno che, a mio giudizio, alla luce delle contingenze sociali, culturali ed economiche attuali, non potrebbe mai e poi mai essere lasciato a maggese. Trovando nella prassi un valido alleato, Weber aveva teorizzato che il denaro fosse, al pari del potere, l'elemento in grado di condizionare maggiormente i comportamenti umani, veicolandoli verso punti d'arrivo precisi e mirati, e che il capitalismo borghese avesse irrimediabilmente virato con grande decisione in direzione del consumismo. Quest'ultimo, in una logica perversa, avrebbe poi portato all'idealizzazione del possesso materiale e del suo susseguente consumo, divenendo a tutti gli effetti il termometro del benessere personale all'interno della società contemporanea. Accanto al consumismo, sosteneva Max Weber, la burocrazia aveva assunto un ruolo preponderante, divenendo la forma attraverso la quale il potere si esercitava trovando concretizzazione. Il denaro e il potere quindi, nella visione weberiana, concorrevano alla frantumazione della tanto ambiziosa quanto necessaria pretesa di individuare un senso alla vita dell'individuo, che di conseguenza però, si risolveva ad essere a tutti gli effetti uno strumento in vista di un fine. Weber aveva fatto centro, e oggi non possiamo non rendercene conto. Habermas non può fare a meno di riprendere tali punti di vista, peraltro difficilmente negabili, ma lavorandoci alacremente ( e attingendo anche al pensiero di Husserl ) vi integra concetti nuovi individuando all'interno della società contemporanea l'esistenza di due veri e propri livelli costituenti: il "sistema" e il "mondo della vita". Il primo coincide con l'aspetto rigidamente strumentale e prescrive azioni finalizzate al raggiungimento di precisi scopi quali ad esempio il possesso e il potere. Il secondo livello riguarda una sfera differente, ossia quella costituita dai valori e dalle tradizioni caratterizzanti una determinata società ( intesa però quale gruppo umano ) ed esprimibili attraverso il linguaggio.
Secondo Habermas, il capitalismo, con il suo sistema politico-economico, mediante il denaro e il potere, interferisce subdolamente con questa seconda sfera, non limitandosi a veicolarne i valori, ma di fatto addirittura determinandoli, tracciando vere e proprie linee guida, in grado di generare i caratteri peculiari del consumatore in quanto tale. Le necessità di quest'ultimo si traducono nella domanda che, attraverso i mezzi di diffusione, conia una forma mentis collettiva e irrimediabilmente standardizzata. La deriva irrazionale, di conseguenza, diviene inevitabile poiché tale irrazionalità è data proprio dal fatto che il sistema politico-economico, anziché uno strumento, diviene il solo e unico fine, che all'appagamento del bisogno, preferisce il mantenimento di se stesso ad oltranza. Habermas rivolge la propria attenzione anche all'opinione pubblica, che a suo giudizio si è nel tempo decisamente ridimensionata e snaturata, divenendo un mero strumento mediatico capace addirittura di rinnegare la propria essenza di pensiero comune. Se ciò è vero, allora sarà impossibile per chiunque non constatare la vittoria della ragione strumentale, cui il "mondo della vita" appare, oggi più che mai, totalmente asservito e subordinato. Non credo sia il caso di deporre le armi, ma vorrei avere lo stesso ottimismo di Habermas quando, complice il suo continuo richiamo all'Illuminismo, lascia uno spiraglio alla società, considerandola un insieme di individui capaci di relazionarsi attraverso un agire comunicativo in virtù del quale sarebbe potenzialmente ancora in grado di intervenire sull'agire strumentale invertendo la tendenza. Responsabilizzare l'individuo può essere una grande idea, ma purtroppo, anche considerando l'abissale distanza intellettuale che ci separa dall'Illuminismo, può esserlo soltanto nel meraviglioso mondo della teoria.

Matteo Andriola

2 commenti:

  1. Personalmente reputo che l'Illuminismo sia uno dei maggiori responsabili della vittoria della cosiddetta 'ragione strumentale'.
    FdA

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    1. La posizione è in linea di massima condivisibile, ma il grande merito che riconosco all'Illuminismo è quello di aver contribuito in maniera determinante alla nascita di quella coscienza critica di cui, oggi più che mai, si sente enorme bisogno.

      Matteo Andriola

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